
Quando incontrerai la prossima pianta di Alloro, scegli una foglia e staccala con rispetto e annusala. Sentirai una fragranza fresca e forte, un po’ dolce un po’ speziata: è il profumo di Dafne, la bella ninfa che fuggendo per sottrarsi a quel pre(te)ndere di Apollo implorò Madre Terra di aiutarla e lei, con la sua benevolenza, la tramutò nel mitico arbusto.
Ma il dio non s’arrese a quelle nuove sembianze e la ritenne comunque sua, consacrandola a eterno serto su capelli, cetre e faretre. Il Laurus nobilis fu quindi essenza a lui congiunta, apollineo bagliore che guizza sul capo dei gloriosi, degli eccellenti in arti e sapienza d’intelletto – come chi si ‘laurea’ – e di coloro che pronunciano verità sibilline e sublimi, come fanno profeti e poeti.
Il nobile arbusto possiede comunque un’anima più rustica ed è comune presenza nella macchia (mediterranea) come nei giardini e orti, dispensando le sue virtù in cucina e come medicamento. E’ l’unica specie europea della famiglia delle Lauracee – di cui fan parte anche la canfora, l’avocado e la cannella – e non va sbagliata col Lauroceraso, una rosacea abbondantemente sfruttata come siepe ornamentale che presenta foglie e drupe simili a quelle del nostro, ma di tutt’altra sostanza: contiene infatti acido cianidrico, sostanza tossica se ingerita.
Quando cresce spontaneo l’Alloro diviene grazioso alberello dalle modeste dimensioni e in alcune zone può formare boschetti, latori di un’eredità solare che li rende invulnerabili al fuoco dei fulmini e incubatori di un’energia un tempo considerata terapeutica per i più gracili e delicati in corpo e spirito, ai quali era prescritto di passeggiarvi. Quel che diremmo oggi un immunostimolante!
Le foglie sono molto apprezzate in cucina, fresche e secche, mentre è un po’ decaduto il loro uso erboristico, a parte tra chi vive a contatto stretto con la pianta e sa, per esperienza, quanto berne il corroborante e buonissimo infuso sia di sollievo per la digestione, per alleviare febbri e tossi o per disinfettare piccole ferite. La parentela con la canfora ne fa anche un rimedio casalingo per profumare e preservare la biancheria.
In autunno si sviluppano le tonde e lucenti bacche scure. Ve lo dico: dopo averle raccolte e trasformate m’è nata per loro una speciale adorazione e son diventate preziose e ineguagliabili. Delle pepite d’oro.
Sono scrigno di una componente densa e oleosa che affiora durante la bollitura conosciuto come burro laurino: portentoso concentrato da diluire in piccole percentuali in oli e unguenti per curare strappi, contusioni e dolori reumatici. Ma è un processo di lavorazione lungo, impegnativo e di scarsa resa, come dice chi guarda al lato pratico. Ma se al posto di ‘processo’ metti ‘rito’ tutto cambia:otterrai un’essenza intima e sacra della pianta.
E’ comunque meglio preparare l’oleolito (sempre dalle bacche contuse senza spezzare il nocciolo e meglio in olio di oliva), altrettanto intenso in profumi e colori, quantità ed efficacia. Il mio ha un’intensità che cresce di mese in mese e stappare quella bottiglia è… tuffarsi in oro liquido.
Altra storia son le foglie, con le quali puoi preparare il laurino, liquore digestivo dal bel colore smeraldo. Raccogli 20 foglie, spezzale con le mani e mettile a macerare in ½ litro di alcool buongusto e uno sciroppo preparato con 250 grammi di zucchero e mezzo litro di acqua. Filtra dopo 5 giorni, imbottiglia e lascia riposare per almeno un mese e ancor più. Lo apprezzerai appieno durante la stagione più fredda, specie alla fine di un pasto ‘importante’.
…e con le foglie fresche macerate in olio di oliva ho preparato anche questo:

ispirandomi al sapone di Aleppo, con tutta probabilità uno dei più antichi della storia.