il Fico d’India

Si dice che dalle navi di ritorno in Europa dopo la ‘scoperta’ delle Americhe sbarcò anche il fico d’India, le cui singolari fattezze apparvero come una bizzarra curiosità botanica: nessun tronco né rami ma solo carnose pale piatte e tondeggianti, appoggiate in improbabili equilibri l’una sull’altra; e poi le spine, alcune visibili e tante ‘invisibili’, piuttosto inclini queste ultime a infilarsi sottopelle al minimo sfioramento, tanto da rendere la raccolta dei deliziosi frutti un’impresa che non dà spazio a nessuna improvvisazione!

Si sussurra anche, però, che la pianta abitasse già da tempo nel paese degli Opunzi, antichi abitatori della Locride Opunte così che il nome scientifico, Opuntia ficus-indica, ha finito col riunire l’una e l’altra specie (le ‘Indie’ son quelle di Cristoforo Colombo!).

Sta di fatto che a questa Cactacea è piaciuto molto il Mediterraneo e vi si è diffusa con tenace perseveranza preferendo i terreni più aridi e pietrosi e crescendo ora solitaria, ora formando compatte e invalicabili muraglie di pungenti pietre vegetali, a segnare e proteggere confini di campi e proprietà. E va detto che è l’unica Cactacea naturalizzatasi nel Vecchio Continente.

Il fico d’India è una creatura erculea e indipendente, abile a sopravvivere nelle condizioni più aspre e simbolo di forte appartenenza al territorio, tanto che al pari del cacao e del mais era pianta ‘sacra’ agli Aztechi, i quali fondarono la loro capitale proprio nel “luogo del fico d’India sulla roccia”: Tenochtitlan, l’attuale Città del Messico.
E in Messico, oggi come un tempo, è vegetale comune anche nell’alimentazione e non parliamo dei frutti ma delle giovani pale, i nopalitos, tenera e gustosa verdura che dietro alle minacciose spine cela un tesoro di sali minerali -soprattutto calcio, magnesio e fosforo- vitamina A e C, aminoacidi e fibre solubili in forma di pectine e mucillagini, le quali costituiscono anche un importante rimedio antiinfiammatorio e protettivo della mucosa gastrica, oltre a calmar tossi e pertosse.

Anche in Sicilia, dove la pianta si è magnificamente naturalizzata, si conoscono gli stessi usi medicamentosi cui si aggiunge quello dei bellissimi fiori per le coliche renali e per l’ipertrofia prostatica: tutte proprietà ampiamente confermate da successivi studi scientifici. La polpa fresca delle pale è poi un ottimo cicatrizzante e riepitelizzante se applicata direttamente sulla pelle in caso di scottature, piaghe e ulcerazioni.

Il rosso degli Atzechi

Gli Spagnoli appresero dagli Atzechi la tecnica per produrre il caratteristico rosso carminio, ottenuto dalla frantumazione della cocciniglia (Dactylopius coccus Costa), insetto infestante che vive solo sulle piante del genere Opuntia. Ancora oggi è un colorante ‘naturale’ ahimè molto utilizzato nell’industria alimentare (con la sigla E120) e ancor più in quella cosmetica, realizzato con le stesse procedure apprese dagli Atzechi, ma purtroppo su scala decisamente più ampia.

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